Signor Quadri, buonasera,
questa sera vorrei parlarle di identità, e della paura di perderla e lo farò, se permette, a partire da un episodio personale.
Alcuni anni fa, almeno una decina, ospitammo un giovane iracheno, richiedente asilo, che soffriva di sindrome da stress post-traumatico. Era stato imprigionato a lungo nelle carceri di Saddam Hussein che aveva decimato parte della sua famiglia. Il suo percorso di fuga l'aveva portato a transitare per mezza Europa e dato che era clandestino, era stato più volte imprigionato. In Ungheria, in Bulgaria e in altri paesi che non ricordo più. Ricordo però che il suo viaggio era durato più di sei mesi. Non riusciva a stare nei luoghi chiusi e per questa ragione camminava durante gran parte del giorno e della notte, facendo centinaia di chilometri. Dormiva pochissimo, si addormentava solo a casa nostra. Mio marito gli parlava in arabo, lui si rilassava e puff, si addormentava. Era ovviamente una persona molto speciale e ricordo con piacere il tempo che passava con i bambini a giocare a UNO.
Fu un'estate particolare perché ospitavamo due ragazzi francesi, e una bambina della Lettonia, con mio figlio facevano quattro bambini.
I cinque formavano un curioso quadretto, non ho mai capito bene come potessero capirsi, ma la cosa funzionava.
La cosa divertente è che questo signore si chiamava Haider, come quell'altro Haider, quello della Carinzia. Quello dell'ultra destra austriaca, che trovò la morte l'11 ottobre 2008 in un incidente stradale da lui stesso provocato, dopo una notte trascorsa tra bravate e alcool.
Questi due uomini, non avrebbero potuto avere identità più diverse, ma pur provenendo da mondi molto distanti avevano lo stesso nome.
Quando ci definiamo: bianco/a, svizzero/a, italiano/a,poliglotta, alto, basso, dedito/a al lavoro, cristiano/a, mussulmano/a,laico/a, etero/omosessuale, eccetera, usiamo delle categorie.
Ora, la scelta delle categorie è fondamentale per stabilire chi consideriamo prossimo e chi invece definiamo come straniero. Avere paura dello straniero è un sentimento naturale, una sorta di difesa dell'Io a cui nessun uomo o donna può sottrarsi.
Più mi definisco per categorie binarie - bianco o nero, omo o eterosessuale, alto o basso, svizzero o italiano - più avrò paura di chi è diverso da me.
Se invece mi definisco per categorie inclusive -essere umano, amante della letteratura, appassionato di bei paesaggi, interessato alle religioni – mi sentirò a mio agio con qualunque persona, indifferentemente dal contesto dal quale proviene. Avrò la curiosità di scoprire cosa ci accomuna e cosa ci divide. Su quali idee possiamo essere d'accordo e cosa invece dobbiamo negoziare. La società multiculturale non è un mondo ideale in cui tutto funziona spontaneamente ma una palestra dove gli uni e gli altri possono incontrarsi, scontrarsi e riconciliarsi. Un esercizio di umanesimo applicato, per dirla in un'espressione.
Vede, noi fautori della società interculturale - quella in cui tra le culture non c'è solo convivenza, ma anche scambio - non siamo un branco di ingenui sognatori. Sappiamo bene che ci sono delle difficoltà, degli ostacoli, delle incomprensioni da superare, ma non ci sottraiamo alla sfida che il mondo globale ha portato davanti alla porta di casa. Non ci rifugiamo nelle riserve, perchè non siamo indiani alla fine dell'ottocento ma uomini e donne che vivono in questo tempo, in questo secolo. L'identità non è una serie di caratteristiche mono blocco ma evolve. Ogni esperienza, ogni giorno ci cambia:invecchiamo, incontriamo persone, rivediamo i nostri preconcetti. E chi non ne ha? L'importante è aver voglia di ridiscuterli, non lasciare che ci dominino ma conoscerli e controllarli.
Abbiamo raccolto la sfida, la viviamo ogni giorno e speriamo con ottimismo incrollabile e tanta buona volontà di riuscire a farne qualcosa di buono.
Distinti saluti, Lisa Bosia
PS. Mio marito l'ho conosciuto a Rabadan, a Bellinzona. Non parlavamo la stessa lingua, non avevamo la stessa cultura, non la stessa religione, né lo stesso modello di famiglia. Ci piaceva ballare questo si, molto, son passati vent'anni e ancora balliamo.
(lettera aperta a Lorenzo Quadri del 3 agosto 2013)
Nella foto la scrittrice-blogger Sumaja Abdel Quader e l'assessore alle politiche sociali di Milano Pierfrancesco Majorino: gente che ci piace!